mercoledì 20 gennaio 2010

Il trattamento dei Disturbi d’Ansia nell’ottica della Psicoterapia Integrata di Silvia Foschetti

L’indirizzo pluralistico integrato, al quale appartengo, ha le sue basi teoriche in più modelli, anche per quanto riguarda il trattamento dei Disturbi d’Ansia.
Quasi tutte le prospettive, partendo dal presupposto che nell’uomo l’ansia è predisposta dall’evoluzione, concordano nel sostenere che i disturbi d’ansia rappresentano l’erronea applicazione, o la distorsione di una risposta ansiosa normale.
Inoltre tutti sono d’accordo nel ritenere che l’ansia implica l’anticipazione di pericoli, paure, catastrofi.
La maggior parte delle teorie suggerisce inoltre che le esperienze dolorose o traumatiche giochino un ruolo significativo nello sviluppo di un disturbo d’ansia, sebbene si differenzino per l’enfasi che pongono su tale fattore. Alcune sottolineano la funzione della elaborazione cognitiva e/o cognitivo-affettiva delle informazioni svolta da ciascun individuo.
Per quanto riguarda i fattori di mantenimento dei disturbi d’ansia, tre importanti ipotesi vengono condivise. La prima è l’assunto che l’ansia conduca generalmente all’evitamento dell’oggetto o della situazione temuta. Sebbene l’evitamento provochi un sollievo temporaneo dall’ansia, non permette all’individuo di sapere se il pericolo temuto è immaginario o se è gestibile. L’alleggerimento momentaneo dall’ansia prodotto dall’evitamento è ottenuto al prezzo di rimanere bloccati nel disturbo ansioso. Il secondo fattore di mantenimento di un disturbo ansioso è la continuazione del problema di fondo. Il terzo fattore è lo spostamento automatico dell’attenzione sul proprio stato ansioso (il riflettere su), che produce un’ansia di secondo ordine.

Dal punto di vista teorico i modelli cui faccio particolare riferimento per quanto riguarda i Disturbi d’Ansia sono quello cognitivo-comportamentale, quello esperienziale, quello psicoanalitico, la teoria dell’Attaccamento di Bowlby e la terapia breve strategica di Nardone.
Tutte le moderne teorie cognitive assumono che l’esperienza umana venga interiorizzata e conservata in memoria in maniera organizzata. Secondo quest’ottica, le persone ansiose hanno interiorizzato determinati schemi cognitivi riguardanti la potenziale pericolosità di certe situazioni rispetto alle loro abilità di coping.
Un modello collegato è quello dell’apprendimento sociale dell’ansia di Bandura, secondo cui il meccanismo di base che produce ansia è la carenza nell’individuo delle credenze di autoefficacia.
Il modello cognitivo amplia quindi il paradigma del condizionamento suggerendo che l’iniziale associazione automatica tra le esperienze traumatiche e l’oggetto o la situazione specifica ha come risultato la formazione di schemi correlati al pericolo. Questi poi influenzano le anticipazioni di rovina catastrofica ogni volta che l’individuo si confronta con l’oggetto o la situazione temuta.
Mentre le prime versioni del modello cognitivo e cognitivo-comportamentale si focalizzavano sulle cognizioni coscienti, adesso le ipotesi più recenti si sono focalizzate sugli schemi cognitivi inconsci, avvicinandosi così all’ottica psicoanalitica, soprattutto quella più recente, che ha spostato l’attenzione dal conflitto alle rappresentazioni inconsce del Sé, e del Sé in relazione con l’altro, come principali determinanti del pensiero cosciente e del comportamento.
La psicoterapia esperienziale incentra il suo focus sul processo dell’esperienza emozionale. Tale prospettiva accetta l’idea di strutture psichiche interiorizzate ma le carica affettivamente. A tal proposito Greenberg ha parlato di schemi emozionali e presume che anche questi schemi funzionino al di sotto della consapevolezza. Un’analisi del contenuto di tali conflitti catastrofici indica che essi riflettono in senso più ampio delle crisi esistenziali: l’inevitabilità della perdita, l’esperienza di una coscienza separata che è spesso associata alla paura di essere soli, il peso della responsabilità individuale, la consapevolezza e accettazione della propria morte, il bisogno di bilanciare le nostre azioni ed espressività rispetto alle richieste socio-culturali, il bisogno di attraversare il doloroso processo di decidere di quanta libertà, autonomia, novità abbiamo bisogno nella nostra esperienza rispetto alla comodità, alla sicurezza, ala protezione. Ognuno di questi problemi è implicato nella lotta per l’autostima, e questa battaglia comporta necessariamente l’esperienza di emozioni sminuenti, quali umiliazione, colpa, vergogna, rabbia.
La prospettiva esperienziale è quella che più ha da dire sul ruolo delle emozioni nello sviluppo e nel mantenimento dei disturbi. Quest’ottica si discosta da tutte le altre nell’assunto che le emozioni sono fonti di informazione biologicamente adattive che gli individui ignorano a loro rischio e pericolo. I problemi derivano dall’apprendimento di cognizioni erronee in merito all’espressione emotiva, che, in quanto sentita come pericolosa o inutile, non viene seguita.

La teoria dell’attaccamento fornisce una chiave di lettura da molti ormai ritenuta centrale nell’eziologia dei disturbi d’ansia. Fin dall’origine della nostra specie, nelle situazioni di pericolo o difficoltà, ogni individuo tende a cercare la vicinanza della figura di attaccamento, in genere la madre. Il bambino sceglie comunque la figura di attaccamento in base a determinate caratteristiche e cioè che:

  • Lo consola quando è triste
  • Lo rassicura quando è spaventato
  • Lo nutre sul piano fisico e affettivo
  • Lo accoglie sempre
    (Bowlby,1989)

Le emozioni specifiche che accompagnano questa condotta di avvicinamento sono:
- Sicurezza, se riesce a conseguire la prossimità protettiva;
- Paura e collera, se la ricerca fallisce;
- Gioia, se la separazione è breve;
- Tristezza se la separazione è prolungata.
Il bambino conserva e classifica i fatti e le emozioni che prova sulla base della decodifica, o interpretazione, che di essi gli fornisce il genitore. Quando i genitori gli forniscono una codifica distorta dei fatti e delle emozioni, ossia non corrispondente all’effettiva emozione che il bambino prova, ne consegue per lui l’impossibilità ad accogliere tutte le esperienze che sul piano consapevole. Quando non possiamo servirci delle nostre emozioni si presenta il rischio di implicazioni psicopatologiche.
Le memorie delle risposte provenienti dalle figure di attaccamento vengono inglobate in strutture cognitive che andranno a costituire le convinzioni e le aspettative del bambino e poi dell’adulto ogni volta che si troverà in condizioni di difficoltà (Holmes, 1994).

Il concetto del Sé
Il Sé è sia il punto centrale della psicopatologia che la sede primaria del cambiamento terapeutico. Possiamo definire il Sé come la consapevolezza della propria persona.
Il rapporto della persona con il Sé è fondamentale. Grazie alla capacità riflessiva umana, tutto ciò che una persona può pensare e sentire rispetto all’altro può sentirlo e pensarlo rispetto a se stessa. Sebbene la capacità riflessiva permetta l’esperienza del sé, una forma compulsiva di esperienza autoriflessiva (pensiero ossessivo) è generalmente associata alla maggior parte dei disturbi d’ansia e ad altre forme di psicopatologia. Il pensiero ossessivo può diventare così intenso da rendere impossibile contattare e comprendere la propria esperienza emotiva.
Anche fare esperienza è uno dei processi umani basilari mediante i quali ci relazioniamo con il mondo, con gli altri e con noi stessi. Il processo esperienziale è un ciclo continuo di elaborazione dell’informazione su base emozionale che comporta la ricezione di informazioni interne ed esterne, la valutazione del loro significato e la rapida elaborazione delle alternative di risposta. Anche in questo caso, se l’esperienza presente viene vissuta senza la riflessione possono nascere dei problemi.
Entrambe le modalità di conoscenza di noi stessi sono importanti: la riflessione ci permette di verificare come ci poniamo socialmente e di pianificare il futuro in base alle concezioni che abbiamo delle nostre capacità e dei nostri limiti; l’esperienza diretta accresce la possibilità di acquisire nuove conoscenze e di cambiare vecchie idee.
Una sana conoscenza del sé si basa su un’integrazione dell’informazione acquisita da fonti diverse, e più in particolare dall’esperienza organismica soggettiva e da concettualizzazioni sempre più complesse e precise di come funziona il mondo fisico e sociale. L’autoconoscenza diventa tanto più attendibile quanto più si basa sulla capacità di ascoltare la propria esperienza e di acquisire un’informazione fedele dell’ambiente sociale e fisico.
Quando invece viene favorito l’evitamento di informazioni ed emozioni, come succede soprattutto con quelle dolorose, la persona si avvia verso una manipolazione delle proprie (e anche altrui) impressioni che non gli consentirà di avere una buona conoscenza di sé e della realtà. Ciò comporterà problemi per l’autostima e per la fiducia nella propria esperienza, nonché appunto l’insorgere di problematiche ansiose. (Wolfe, 2007)

Il Sé ferito nei disturbi d’ansia
In un individuo ansioso l’ansia è sentita come una minaccia di fondo alle credenze profonde sul Sé. Questa esperienza di compromissione del Sé si caratterizza per una varietà di stati, che comprendono un senso di perdita di controllo, di mancanza di sicurezza e di impotenza e che spingono l’individuo a ritenere di esser incapace di evitare un’esperienza traumatica, o estremamente dolorosa, o umiliante.
Quando le persone si trovano nel pieno di questa esperienza spostano automaticamente l’attenzione dall’esperienza diretta d’ansia al pensare di essere in ansia e ciò inevitabilmente aumenta il livello d’ansia. Quando, come succede in terapia, le persone riescono a rimanere in contatto con la loro esperienza ansiosa immediata, comprendono che il vissuto di compromissione del Sé rappresenta un confronto temuto con una percezione di sé terribilmente dolorosa. Ed è solo attraverso questa esplorazione del significato implicito dell’ansia che può avvenire la duratura guarigione.


Wolfe (2007) indica cinque tipologie di ferite del Sé, corrispondenti a cinque tipi di percezioni di sé dolorose fortemente ansiogene:

- il Sé biologicamente vulnerabile (paura di estrema vulnerabilità alle malattie o agli impedimenti fisici);
- il Sé inadeguato o incapace (paura di situazioni che ricordano passati fallimenti di una performance);
- il Sé vergognoso, imperfetto, umiliato;
- il Sé insoddisfatto o isolato;
- il Sé conflittuale o confuso (spesso una difficoltà nel riconoscimento dei propri bisogni o un conflitto fra i bisogni di base dell’individuo e i suoi valori);

Esistono molte fonti di ferite del Sé, la maggior parte delle quali sono fra loro interconnesse:

  • esperienze traumatiche
  • idee di vergogna o umiliazione
  • tradimenti da parte di altri significativi
  • diseducazione emozionale
  • risposte inefficaci ai dati esistenziali della vita
    (Wolfe, 2007)


I disturbi d’ansia sono mantenuti da numerosi fattori, che hanno a che fare per lo più con il proteggersi dalla percezione atrocemente dolorosa del sé. Invece di confrontarsi apertamente con le ferite del Sé, le persone ansiose generalmente mettono in atto queste tre strategie per mantenerle nascoste:

  • riflessione sullo stato di ansia e sulle potenziali catastrofi
  • evitamento delle situazione ansiogene
  • circoli negativi di comportamento interpersonale (chi si vede negativamente si comporta in modo che gli altri rinforzino questa idea)

Queste strategie determinano una riduzione temporanea dell’ansia ma al prezzo elevato di rinforzare le credenze disadattive della propria incapacità a gestire le situazioni temute.

I tre elementi fondamentali dei disturbi d’ansia sono dunque:
- l’esperienza immediata di ansia
- lo spostamento automatico dell’attenzione sul proprio stato ansioso (il riflettere su), che produce un’ansia di secondo ordine
- una percezione di sé tacita, ma dolorosa
(Wolfe, 2007)


La Psicoterapia Integrata dei disturbi d’ansia
Il mio approccio al trattamento integrato dei disturbi d’ansia si focalizza inizialmente sui sintomi ansiosi e sullo spostamento dell’attenzione sulla riflessione, cioè sull’ansia di secondo ordine. Solo dopo che è stato fatto qualche progresso a questo livello il trattamento (attraverso le tecniche cognitivo-comportamentali o strategiche) si procede all’esplorazione, identificazione e cura del livello sottostante: il significato implicito dell’ansia.
I passi della terapia, dunque, sono:

  1. Il primo passo è la riduzione dei sintomi. Inizialmente la terapia si dirige verso questo obiettivo, che permette al paziente di acquisire un senso di controllo sui propri sintomi
  2. il secondo passo è iniziare a comprendere le difese nei confronti delle esperienze dolorose riguardo al Sé
  3. il terzo passo è entrare in contatto con le emozioni dolorose e con le ferite del Sé associate
  4. il quarto passo implica imparare a tollerare ed elaborare emozionalmente le realtà dolorose della vita


Lavorare in maniera integrata non significa soltanto dare una lettura integrata dell’origine dei disturbi d’ansia o utilizzare tecniche provenienti da indirizzi diversi, significa anche “tagliare” il trattamento sulla base delle aree di funzionamento più agevoli per il paziente.

Bibliografia:
Aquilar F., Del Castello E., Psicoterapia delle fobie e del panico, Franco Angeli, 2000, Milano.
Bandura A. Il senso di autoefficacia, Erickson, 1996, Trento
Bowlby J. Una base sicura, Raffaello Cortina Editore, 1989, Milano.
Greenberg L., Paivio S., Lavorare con le emozioni in Psicoterapia integrata, Sovera, 2000, Roma.
Holmes J., La Teoria dell’attaccamento, Raffaello Cortina Editore, 1994, Milano.
Nardone G., Paura, panico, fobie, Ponte alle Grazie, 1993, Firenze.
Wolfe B.E. , Trattamenti integrati per disturbi d’ansia, Sovera, 2007, Roma.



Autore: Dott.ssa Silvia Foschetti psicologa psicoterapeuta (Firenze, Arezzo)
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